Masolino
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MasolinoSenza ironia non si campa». Del resto, nell’infanzia di Masolino D’Amico, l’ironia deve essere stata il pane quotidiano, con mamma Suso che con quella “amara” – di stampo toscano – ha condito, per un trentennio, la Commedia all’italiana. Incontriamo il critico teatrale, anglista, traduttore e saggista, figlio della sceneggiatrice Suso Cecchi D’Amico che, scomparsa nel 2010, ha lasciato in eredità a Castiglioncello l’imprinting di fucina del cinema e l’amore per questo posto ai figli, per i quali non è luogo di villeggiatura, bensì «casa» come afferma lo stesso Masolino. Ancora oggi, infatti, il critico trascorre le ferie nella casa in cui la madre ospitava i mostri sacri della cinematografia italiana, da Visconti a Zeffirelli, da Monicelli a Pratolini, per lavorare a soggetti e sceneggiature di film che avrebbero caratterizzato la storia del cinema di casa nostra.
L’infanzia e la giovinezza di Masolino D’Amico a Castiglioncello trascorrono, dunque, all’insegna dell’ironia – ampiamente alimentata dalle gag di Paolo Panelli – ma anche – come ci spiega – da un’estrema «leggerezza»: una leggerezza e una semplicità nel modo di vivere che forse oggi non sarebbero possibili, ma che allora sono state grandi maestre di vita.
Primogenito della coppia Suso – Fedele D’Amico, musicologo di fama, Masolino – diminutivo e insieme vezzeggiativo di Tommaso – è nato a Roma nel 1939, ha due figlie Margherita e Isabella avute dalla ex moglie Benedetta Craveri; oggi vive con la compagna Gloria De Antoni, autrice televisiva, peraltro curatrice della rassegna estiva di “Incontri con l’autore” di Castiglioncello, promossa dal Comune di Rosignano Marittimo.

 
Ci parla del legame della sua famiglia con Castiglioncello?
Si tratta di un legame assai precedente a quanto si possa pensare e riguarda più la famiglia di mio padre che quella di mia madre. Possiedo una vecchia foto datata 1913 in cui c’è mio padre Fedele, all’età di un anno, in braccio a suo zio. Ciò significa che già i miei nonni paterni venivano qui in villeggiatura fin dai primi del Novecento. I miei genitori si conobbero e iniziarono a frequentarsi proprio a Castiglioncello. La famiglia D’Amico era una famiglia borghese, agiata e venivano in villeggiatura con regolarità. I Cecchi erano meno benestanti, le loro vacanze a Castiglioncello erano più sporadiche. Una di quelle estati, però, mia nonna chiese a mio padre di dare ripetizioni a mia madre che era bocciata a scuola. Fu così che nacque il loro amore. Anche da sposati continuarono a venire al mare a Castiglioncello. Stavolta però fu una scelta di mia madre venire qui regolarmente. A Castiglioncello aveva trovato una dimensione ideale per il suo lavoro.
Cosa ha di speciale per lei questa località?
Ci siamo stati tutta la vita, ci vengo fin da bambino, non so dare un giudizio, semplicemente qui c’è “casa”. È un posto che ha una sua identità, non è un posto di villeggiatura affollata, è familiare, molto grazioso, ha un microclima molto piacevole. E poi è in Toscana, una terra della quale mia madre era originaria, suo babbo infatti, il critico letterario e d’arte Emilio Cecchi, era fiorentino, mentre la mamma era di Siena. Mia madre non si è mai “romanizzata”, ha sempre guardato i romani da fuori.
Come erano le estati castiglioncellesi?
Erano i mitici anni Sessanta eravamo tutti giovani e spensierati, ci divertivamo molto, le estati duravano quattro mesi. Eravamo una comitiva di persone legate allo spettacolo, c’erano Paolo Panelli e Bice Valori, Marcello Mastroianni, Flora Carabella, Alberto Sordi. Si passava moltissimo tempo insieme, tutti i giorni, scherzando. A tenere banco era soprattutto Panelli che ci coinvolgeva di continuo nelle sue improvvisazioni delle quali spesso realizzava dei filmini.
Sua madre ha radici toscane e lei stesso ha passato molto tempo in questa terra. Come vede i toscani?
Dei toscani amo soprattutto l’ironia e una certa eleganza, sono persone serie, ma alle quali piace scherzare, persone intelligenti, non volgari, non si danno le arie e sono “svelti”.
L’ironia è un elemento forte della commedia all’italiana di cui sua madre è stata un pilastro…
È così, infatti. Finita la guerra la gente tornava a respirare, non solo era concluso il dramma del conflitto ma anche il dominio della retorica. Si poteva tornare a scherzare: in quel clima lì è nata la commedia all’italiana della quale l’ironia è una componente fortissima. Sicuramente le origini toscane di mia madre hanno contribuito a questo.
Quale altro fattore secondo lei ha portato sua madre a descrivere così bene i tipi umani dei film che ha scritto?
Mia madre era una persona particolare, “speciale”, direi, non a caso dopo la sua scomparsa ne ho fatto un ritratto inserendolo nell’edizione aggiornata del mio libro “Persone speciali”, una raccolta di profili di personaggi del mondo della cultura. Suso era incuriosita da chiunque e la gente le raccontava tutto di sé. Non faceva pettegolezzi, ma le piaceva sapere tutto di tutti. Aveva la capacità di rapportarsi a qualsiasi ambiente. Aveva una grandissima capacità di osservazione e nessuna velleità di imporsi. Stava ad ascoltare defilata registi e collaboratori riuscendo a cogliere esattamente ciò che volevano e a tradurlo in fase di stesura della sceneggiatura, contenuti e sfumature che magari loro stessi ignoravano o non sapevano definire. Era brava a capire gli altri: ecco questo era il suo talento. Ha iniziato “dando una mano” ad amici del mondo del cinema che le chiedevano consigli; pian piano si accorsero delle sue attitudini e le davano sempre più autonomia.
Che mamma è stata?
I nostri genitori erano due persone in gamba, con un’enorme passione per quello che facevano. Si vedevano pochissimo fra loro, facevano vite diverse, di noi si occupavano poco, ci davano fiducia e responsabilità, ci trattavano quasi alla pari. Questo ci ha dato la possibilità di sviluppare una grande autonomia e maturità. Ci mettevano al corrente di quello che facevano nel loro lavoro, senza darci “lezioni”: con papà andavo all’opera, mamma mi portava al cinema.
Lei ha svolto e svolge molti mestieri. Come sono nate le collaborazioni col mondo del cinema?
Dopo la laurea in giurisprudenza, conseguita in Italia, ho preso un diploma post laurea in materie letterarie a Dublino. Conoscevo quindi molto bene la lingua inglese. Erano gli anni Sessanta e molti produttori e attori americani venivano in Italia per girare film. C’era bisogno di qualcuno che traducesse i copioni sia per le produzioni italiane che offrivano lavori ad attori americani, sia il contrario. Grazie alle frequentazioni lavorative di mia madre quello fu il mio primo lavoro.
Erano gli anni della commedia all’italiana famosa in tutto il mondo: poi cosa è successo al cinema italiano?
Gli anni del Dopoguerra furono una liberazione dal giogo della dittatura e dal dramma della guerra. La società italiana, tuttavia, continuava ad avere le sue contraddizioni e le sue iniquità; questo genere di film unì l’analisi lucida di quella realtà con il sorriso – che adesso dopo tanto dolore era consentito – benché spesso fosse un sorriso amaro. Poi vennero gli anni Settanta i così detti anni di piombo in cui accaddero cose talmente orribili ed inimmaginabili che fecero passare la voglia di scherzare sulle miserie del nostro paese. Così si chiuse un’epoca e con essa finì un genere, la commedia all’italiana non esisteva più.
Come vede oggi il cinema italiano?
Ci sono tanti talenti, fra i registi mi piacciono Garrone e Sorrentino, per esempio, e anche Virzì che, in qualche modo, fa film “alla maniera” della commedia all’italiana, ma sono un’altra cosa.
Pur occupandosi o lavorando per il cinema lei si è dedicato soprattutto allo studio del teatro, come critico e storico: come vede il mondo del teatro?
Il teatro non finirà mai. Finché ci sarà qualcuno che ha da dire qualcosa e anche un piccolo gruppo di persone che lo sta ad ascoltare, il teatro esiterà. Purtroppo fino ad oggi è vissuto con sovvenzioni che adesso non sono più possibili per il momento economico che stiamo vivendo. Dovrà riuscire a superare questa difficoltà.
Cosa pensa di Armunia, la Fondazione che a Castiglioncello si occupa di spettacoli?
È una realtà molto carina, propone cose interessanti, nei contenuti mi sembra che funzioni, da questo punto di vista è una piccola eccellenza.
Di recente si è cimentato nella scrittura narrativa con tre racconti sulla vita di personaggi inglesi realmente esistiti, ciascuno pioniere di un settore, che hanno avuto un discreto successo. Come è nata questa opportunità?
Un paio di anni fa, in quanto conoscitore della storia e della letteratura inglesi, mi è stato proposto di scrivere la vita di Lancelot “Capability” Brown, personaggio vissuto nel ‘700, capo giardiniere di re Giorgio III, che disegnò il paesaggio inglese come siamo abituati a conoscerlo ancora oggi, creando oltre 170 parchi sia per la Corte che per committenti privati; in pratica il primo architetto di giardini della storia. La sua vicenda mi ha incuriosito e ho accettato di scriverne la biografia proponendo però una chiave di racconto vicina alla mia formazione: il dialogo. Il libro, intitolato “Il giardiniere inglese”, uscito nel 2013, ha avuto successo, così mi hanno commissionato altri due lavori, sempre su personaggi inglesi anch’essi scritti sotto forma di dialogo: nel 2014 è uscito “Il viaggiatore inglese”, storia di Thomas Cook (1808-1892), inventore dei viaggi organizzati e fondatore della prima agenzia di viaggi: è considerato l’inventore del turismo moderno; mentre quest’anno è stata pubblicata la storia di Florence Nightingale “L’infermiera inglese”, vissuta fra il 1820 e il 1910, fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna. In tutti e tre i racconti ho inserito l’ironia che, evidentemente, per me rappresenta un elemento fondamentale di una narrazione come della vita.
Come vede Castiglioncello oggi?
Siamo in un periodo in cui le risorse per amministrare sono sempre minori e non è semplice. In passato sono stati fatti degli errori cercando di promuovere un turismo di massa che non si addice ad una località come Castiglioncello e rischiando di stravolgerla. Se non si commetterà di nuovo questo sbaglio penso che Castiglioncello se la caverà.