Un tuffo nella storia russa e nei sogni del principe Nicolas Romanoff, discendete dello zar Nicola I
Lui è il principe Nicolas Romanovic, Romanov o Romanoff, discendente diretto dello zar Nicola I di Russia. Un novantenne dotato di una lucidità impressionante. Può scavare nel passato con una precisione disarmante. Un uomo capace di rapirti nei racconti storici che hanno caratterizzato le vicende di famiglia, in un crocevia di esperienze stupefacenti. Per ore. Ma serve una piccola presentazione. E’ il primogenito del principe Roman Petrovic e della principessa Prascovia Dmitrievna, nata contessa Sheremeteva, fratello maggiore del principe Dimitri. Capostipite della linea dei Romanoff si è sposato ad una della Gherardesca, Sveva. L’attrice Nicoletta Romanoff è sua nipote. Nato e cresciuto ad Antibes, in Francia, dove, dopo la Rivoluzione d’Ottobre, s’era rifugiata gran parte della famiglia imperiale, ha sempre avuto grandi aspirazioni di carriera militare marittima, senza riuscirci. Nel 1936 la sua famiglia si trasferì in Italia (sua nonna era sorella della regina Elena) dove completò gli studi, diplomandosi al Liceo classico, nel 1942.”Sono qui, a Bolgheri, perchè ho sposato una della Gherardesca. Quindi faccio parte del genere “in Gherardesca” che, l’ho scoperto con gli anni, è un gran vantaggio: gli altri ti guardano con più rispetto. Ho una certa veneranda età, per i nostalgici del fascismo c’è da dire che sono un “ante-marcia” perchè sono andato il 26 settembre del ‘22 e la marcia su Roma fu il 28 ottobre. Quindi mi salvai, senza scendere a compromessi”.
Ci racconta la sua infanzia…
Sono nato nel sud della Francia, ad Antibes, un posto che si trova tra Cannes e Nizza. I miei nonni e mio padre lasciarono la Russia dopo la rivoluzione passando tempi difficili e rischiando la morte: 18 membri della nostra famiglia, infatti, sono stati assassinati alla fine della rivoluzione. Si salvarono per un colpo di fortuna visto che abitavano nel sud della Russia, dove la rivoluzione arrivò con un pò di ritardo. Una volta chiesi ad un generale russo: “Come mai i miei avi che abitavano in Crimea si sono salvati e quelli invece a nord no? Lui mi rispose: l’ordine al vertice della rivoluzione era di eliminare tutti, tale ordine però non arrivò in tempo a sud. Anche perchè il capo delle guardie comuniste era, in un certo suo modo, un legittimista: pro rivoluzione, per il comunismo, ma esigeva il rispetto della legalità. E quindi avrebbe ucciso tutti, se avesse ricevuto un ordine preciso.
Avete rischiato la pelle più di una volta quindi?
Sì, ci fu anche un tentativo di un gruppo di esagitati di venire sulle coste, fino alla Villa, per ucciderci. La guardia comunista disse: “no! Ho l’ordine di tenerli sotto arresto ma non di ucciderli”. Fummo salvi per miracolo.
Poi accadde che la guardia tedesca che già occupava gran parte della Crimea arrivò anche alle coste e tutta la famiglia si trovò sotto la protezione dei tedeschi, odiatissimi da tutti. E i miei familiari si rifiutarono di assecondare la proposta tedesca di rifugiarsi in Germania e restarono là. Finchè le sorti della lotta tra bianchi e rossi volse a favore dei rossi. Ed era chiaro che la Crimea sarebbe caduta nei mani dei rivoltosi. Allora giunsero navi da guerra alleate francesi ed inglesi e imbarcarono chi voleva andarsene. Nella nostra casa viveva anche la madre dello zar Nicola II, l’imperatrice, che si rifiutò di partire a meno che tutti coloro che manifestavano il desiderio di partire ne avessero la stessa possibilità. Arrivarono altre navi e chi volle andarsene, grazie a lei, ne ebbe la possibilità.
E fu la volta di Antibes?
Mia madre ancora non conosceva mio padre (si sposarono nel ‘21 a Cannes). Partirono con navi inglesi diverse, quel giorno. Mia nonna con pochi soldi, i gioielli erano tutti spariti, per fortuna portava delle collane di perle lunghe fino al ginocchio. Riuscì a venderle perchè al tempo valevano tantissimo, non esisteva ancora la perla coltivata. Col denaro che ne ricavò comprò una casa in mezzo ai boschi, l’unica che non si vedeva dal mare. Scelse una posizione strategica. Per quanto mi riguarda sono stato educato in Francia come fossimo in Russia. La nostra casa era piena di ospiti russi.
La storia della sua famiglia e la sua si trovano nei libri di storia…
Mi rendo conto oggi, che è 90 anni che parlo senza sosta. La gente mi fa domande sullo zar, sono un accanito lettore di storia ma ho anche sentito molte cose che non sono state scritte e sono stato intervistato da moltissimi giornalisti. C’è sempre stata molta curiosità, per esempio, attorno alla storia dei gioielli della mia famiglia. Il mio desiderio, invece, è sempre stato quello di parlare ai russi del passato, perchè i russi di oggi non vogliono toranre indietro alla monarchia o al marxismo, ma vogliono, comunque, conoscere il passato.
Quanto è rimasto in Francia?
Sono cresciuto educato alla “russa” fino al ‘35. In quegli anni mio padre si rese conto che le scuole ad Antibes non erano l’ideale. Io andavo, ogni giorno, a piedi, scortato da un cosacco: circa 3km di cammino per recarmi a scuola. Allora non avevamo auto. Poi scelse per me la scuola italiana e frequentai il liceo classico in Italia. Ci riuscii grazie alla Regina d’Italia, sorella di mia nonna, Elena di Savoia. Mi inserì nel miglior Ginnasio. Questo comportò anche la mia presenza in italia al momento dello scoppio della guerra. E cambiò tutto.
Che successe?
Ci trovavamo a Villa Savoia, a Roma, nella residenza privata del re. Vidi il re e la regina partire l’8 settembre del ‘43, lasciare rapidamente la Villa. Una fuga che tutt’ora contesto perchè le regole di comportamento di un sovrano sono sempre totalmente diverse rispetto a quelle di un privato cittadino. Il re Vittorio Emanuele di Savoia era una persona molto colta, avida, ma tesa a preservare la legalità. Infatti non ha cacciato Mussolini ma ha aspettato che si facesse mettere in minoranza dal Consiglio del fascismo. Dopo la Liberazione di Roma mia nonna incontrò di nuovo sua sorella, la Regina. Le regole balcaniche dicevano che la casa è sacra, dentro non ti può accadere niente. Anche il peggiore nemico diventa gradito ospite. Appena esce, però, viene ucciso. Dopo la Liberazione tentai di arruolarmi ma non mi hanno voluto. E trovai lavoro in un ufficio angloamericano militare dell’amministrazione di Roma Capitale. Dovevo convincere i soldati tedeschi a disertare, una missione impossibile! (ride, ndr). La guerra finì e pensai di ritornare agli studi.
Tentò la carriera militare marittima?
Mi iscrissi ad ingegneria perchè la mia passione era proprio la marina militare. Volevo stare sulla nave ma non potendo, alla fine, ho optato per costruirle (ride, ndr)! Purtroppo non capivo bene la matematica…io non ero tanto preciso. Quando lo capii era troppo tardi e decisi di trasferirmi in Egitto. Seguimmo le mosse del re che abdicò e passò la corona al figlio Umberto. Andò a vivere in Egitto dove era in amicizia con re Farouk. Ricordo che fummo ricevuti in grande stile sulla littorina del re. Mio fratello minore, più saggio di me, trovò subito lavoro alla Ford. Io mi misi in affari con un russo-turco che importava tabacco. Avevo 24 anni. Così ho vissuto senza grandi sforzi, guadagnando bene. L’Egitto era pieno di belle signore e mi sono goduto la vita. Perchè parecchi mariti erano distratti (ride, ndr). Sentivo però che c’era qualcosa che non funzionava. Non andava fare soldi troppo facilmente. Quindi decisi di tornare e riprendere gli studi. Tornò a Roma?
Sì e li conobbi la mia futura moglie, Sveva della Gherardesca, ad una festa organizzata da un’amica toscana (nella foto a sinistra con la moglie e la figlia. Sotto in uno scatto storico del loro matrimonio). Era seduta al tavolino, sola. Una bella ragazza bionda. Ci eravamo già incontrati tanti anni prima, da piccoli, nella proprietà della sua famiglia a San Vincenzo. Chiesi la mano al padre Walfredo, che conosceva bene la storia della mia famiglia. Mi domandò cosa facevo, se avevo un lavoro. E alla mia risposta negativa, mi chiese di tornare quando l’avessi trovato. Allora era tutto diverso rispetto ad oggi. Se baciavi una ragazza la dovevi sposare. Mi sono sposato con vestiti in prestito da amici di famiglia, in stile anglo-italiano. Lo ricordo come fosse ieri.
Lei ha lavorato nella storica tenuta della famiglia a sud di San Vincenzo?
Con la morte del gemello di mia moglie, Manfredi, mi fu affidata la gestione della Tenuta agricola toscana a sud di San Vincenzo (una parte dove oggi sorge il resort Poggio all’Agnello). Ho imparato molto dal rapporto con i mezzadri. Che piano piano mollarono e se ne andarono, così la produzione passò in gestione diretta a noi. Grandi spese, colture da eliminare e altre da iniziare. Alla fine era diventato tutto talmente burocratico, passare di ufficio in ufficio, troppo stancante.
Che legame ha stretto allora con la Toscana?
La Toscana era molto piacevole, c’erano persone più anziane di età ma più giovani di spirito. Pensavo fosse l’aria buona. L’ho trovati molto moderni e colti. Gente semplice di educazione ma con una memoria incredibile. Potevano recitare l’intera Divina Commedia a memoria. Mi piaceva il modo di vivere toscano di allora. Sono stato sedotto, in particolare, dalla caccia, dopo anni di resistenza. Anche se ai fagiani tiravo malissimo, andavo meglio sul cinghiale. Non mi piaceva come animale. Rientrava molto nello stile di vita di un’epoca non solo in Toscana ma anche in Russia. Ho bollettini degli uffici della Corte Imperiale che annunciavano le date delle giornate di caccia.
E poi non ho mai fatto mistero di amare molto il mare, volevo essere marinaio. Mi vedevo in uniforme sul Ponte della Nave…Anche se mia zia, socialista, pensava che fosse un pò troppo comodo… (ride,ndr)