Una nuova linea per le etichette e per il profilo aziendale. Dario Di Vaira ora ci mette anche la faccia. L’azienda di famiglia iniziata come agriturismo Eucaliptus, nome dovuto ai numerosi esemplari arborei della specie presente oggi prende la sua completa identità.
Figlio di emigranti marchigiani i suoi genitori sono arrivati a Bolgheri negli anni Cinquanta. “E’ stato un percorso lungo, i miei nonni si sono trasferiti a Bolgheri dal Molise, poi i miei genitori hanno fondato la loro azienda negli anni Novanta con una parte dei terreni. È una storia di duro lavoro e sacrifici accumulati negli anni. Poi il fenomeno Bolgheri ci ha indicato la strada da seguire. Ho intrapreso gli studi in viticoltura ed enologia per acquisire le basi e prendere coscienza del mondo vino: d’altro canto mio padre ha sempre coltivato vigneti per cui ho cercato di unire esperienza e competenza per convertire l’azienda agricola in un’azienda vinicola al passo con i tempi.
Ora il passaggio, la decisione di passare da Eucaliptus a Dario Di Vaira. Perché e come?
Una parola: identità. Per il come devo ringraziare lo studio grafico, con il quale abbiamo realizzato una forma e un design che coniugasse i due fattori chiave che contraddistinguono un vignaiolo. Da un lato l’aspetto tecnico, la razionalità e il legame con il territorio (La D del logo raffigura il famoso anfiteatro di Bolgheri con il punto al centro che rappresenta proprio il vignaiolo), dall’altro lato invece la creatività, l’interpretazione dell’annata e la sua imprevedibilità che a volte porta ad innovare invece che mantenere (tutto ciò prende forma nella figura astratta delle diverse etichette).
Anche nuovi vini in arrivo?
I vini che produco provengono anche da vigneti molto giovani, perciò sono in parte vini nuovi anche per me. Etichette da aggiungere non sono previste a breve, invece nuovi vigneti sono in progetto magari in collina con una bella vista sul mare.
Come si è evoluta la vostra azienda anche in termini di produzione?
I numeri sono cresciuti tanto, ma mi interessa di più il metodo. Pazienza, umiltà e rispetto.
Com’è cambiata la percezione di Bolgheri e dei suoi vini da quando è sceso in campo in prima persona?
C’è stato un momento in cui sembrava che Bolgheri fosse una moda, e come tutte le mode potesse passare. La maestria delle aziende storiche, la costanza dei piccoli produttori e l’oculata gestione del Consorzio di Tutela hanno consolidato la posizione sul mercato e la denominazione. Compiuti i primi 25 anni ha superato a pieni voti il suo esame di maturità.
E come la vede evolversi nel futuro?
L’età media degli impianti è ancora piuttosto bassa per cui il potenziale espressivo dei vigneti è ancora in divenire nel suo insieme.
Quando hai capito che il vino avrebbe disegnato il suo futuro?
In realtà non da molto, nel 2008 quando ho preso in mano le redini dell’azienda, mi sono dato 10 anni per riuscire a produrre un vino che mi emozionasse. Con la vendemmia 2018 e il Bolgheri Superiore è arrivata, in extremis, questa sensazione. E devo tutto a un vitigno, il Cabernet Franc che, da quando è entrato in produzione, mi ha letteralmente sconvolto in positivo spingendomi a continuare con ancora più energia.
E’ giovane ma da tempo ormai si occupa quasi da solo dell’azienda. Come è cresciuto anche il suo rapporto con il vino?
Da un’opportunità, l’essere vignaiolo è diventata una ragione di vita e adesso vedo il vino non più come un fine, ma come un mezzo. Un mezzo per crescere, conoscere e viaggiare, ma sono e mi sento ancora un principiante.
Cosa pensa non si debba mai perdere di vista in un territorio vocato e bramato come Bolgheri?
Come ho detto prima la ricerca di un’identità, prima del territorio e poi dell’espressione aziendale. È un compito difficile per una denominazione giovane, specialmente la nostra che si basa su vitigni internazionali e ha un disciplinare con un ventaglio di combinazioni molto ampio. Notizia appena giunta dal Consorzio, il prezzo medio dei vini Bolgheri Doc è il più alto d’Italia, quindi è ovvio che bisogna lavorare ora più che mai sulla qualità. Se riusciamo noi produttori a focalizzarci sull’identità del territorio e la critica e i consumatori negli anni ci riconosceranno questo sforzo, possiamo dormire sonni tranquilli.
Qual’è il tuo vino mito?
Se dici mito, non puoi non pensare a Sassicaia: la radice per cui io e tanti miei colleghi siamo vignaioli oggi.