Il noto enologo Luca D’Attoma racconta la lunga carriera nel vino e l’approdo al biodinamico
Raggiungere la sua azienda dà la sensazione di percorrere l’american camel trophy. E conoscendo Luca D’Attoma ogni nodo torna al pettine. Sì perché oltre ad essere un professionista eccezionale è anche uno spirito libero, spericolato e imprevedibile, o almeno così lo definiscono gli amici. in realtà puntuale e stregone in fatto di vini. Fatto sta che lui è stato tra primi a mettere le mani sulle vigne che hanno prodotto vini epici nella costa livornese. Vini “salmastri” come li definivano poco seriamente i primi critici e in tempi non sospetti. Vini che oggi rappresentano l’Italia nel mondo. Ma non può bastare nemmeno questo a uno spirito libero e lui ha voluto provare una nuova strada, una nuova esperienza “sensoriale”, verso l’innovazione. Perché non riesce a stare lontano dalle sfide e soprattutto non riesce a non vincerle.
Da dove parte la sua storia?
Ho cominciato nel ‘91 con Eugenio Campolmi. Prima lavoravo alla fattoria di Montellori. Poi a Tua Rita nel ‘92. Bolgheri, al tempo, era un fazzoletto in fatto di vigneto, una goccia di vino nella Toscana. Il Sassicaia era già conosciuto come anche Masseto. Si parlava di vini del mare, della costa e ci si chiedeva: “come verrà questo vino con odore di salmastro?” Ma era solo una leggenda. La Toscana era rappresentata principalmente da Montalcino e Chianti Classico. Cominciava il fermento e il vino si caratterizzava pian piano come status symbol. Ci si preparava agli anni d’oro, quello dei grandi investimenti. Lei ha avuto il piacere e l’onore di lavorare con Eugenio Campolmi? Ce lo racconta?Quando arrivai alle Macchiole era un’azienda impostata ma in via di sviluppo e di definizione. Poi si cominciò a lavorare in purezza. Dal ‘91 al ‘93 io ed Eugenio abbiamo piantato la prima vigna insieme, era il cabernet franc. E c’era già idea, verso la fine degli anni Novanta, di fare impianti fitti. Eugenio era tosto, determinato e divertente. Nel bene e nel male un uomo schietto, con pochi fronzoli. Non si parlava di grandi o piccoli, ma di un’azienda molto sentita, di una grande passione. In lui c’era una sorta di obbligo morale ma anche l’orgoglio di non arrivare troppo dietro a coloro che hanno lanciato Bolgheri. C’era già Grattamacco. Mi diceva: “Bimbo io sono a Bolgheri, ma Grattamacco è lassù, a Castagneto!” Ero giovane e mi divertivo con lui, insieme abbiamo raggiunto alti livelli. Questa azienda l’ha lanciata professionalmente? Ma direi che Tua Rita è stata l’azienda con cui siamo partiti fin dalle prime etichette. All’inizio sostanzialmente era vino in damigiana, tante sperimentazioni. Mentre Paleo già esisteva, anche se poi è diventato molto più buono (ride, ndr). Ho sempre creduto nello sviluppo di Bolgheri che poi ha risentito della spinta che ha avuto la Toscana, nel settore, con grandi investimenti. Certo, in alcune aeree, era meglio se rimanevano frutteti e ortaggi, non lo posso negare… E a Riparbella cosa ha creato? Qui mi sono trovato un terreno che definisco estremo e una nuova zona. Il risultato mi accontenta. Un’esperienza che ho intrapreso con Elena Celli, l’acquisto del terreno nel 2000. Bolgheri era molto cara per i terreni e non adatta alle nostre tasche, Suvereto era già scoperta. Ad ogni modo si trattava di territori ad altissima vocatura e cercavo qualcosa di differente. D’altronde, c’è anche da dire: che cos’altro potevo fare se non vino…(ride, ndr) Enologo e produttore, è un processo direttamente proporzionale? Qualcuno l’ha fatto ed ha avuto successo, ma non si è cimentato in un terreno come questo. Cominciare a trattare secondo i principi delle biodinamica non è da tutti. Qui siamo partiti da zero, volevo allargare le mie competenze professionali, credo che un professionista debba essere innovativo e, infatti, mi si è aperto un mondo. Mi manca molto il contatto diretto con l’azienda perché sono spesso fuori, ma l’attività è appagante. Diciamo che anche questo mio interessamento ha fatto sì che aumentasse l’interesse per questa zona dove già ci sono aziende importanti come La Regola e Caiarossa. Poche etichette ma costose, qual’è il segreto della biodinamica? Ci sono Cifra, Altrovino , Due mani e Suisassi, per 40.000 bottiglie totali ma non sempre costanti. Direi che la procedura di questi vini è molto costosa. Non sono a buon mercato e non sono vini per tutti, ma non a causa dei principi della biodinamica. Coltivare questi terreni e fare il vino selezionando con attenzione massima, fa sì che i costi nella gestione della vigna aumentino, si impiegano tante ore per ettaro e le rese molto basse. La biodinamica è interazione tra uomo, energie cosmiche e terreno. Siamo un pò dei vettori, creiamo reazioni…diciamo… per racchiudere il concetto con una metafora chimica… Cerchiamo di dare più vitalità ai suoli per sviluppare piante forti che si sanno difendere dalle malattie e dagli attacchi, dalla siccità e dal freddo. Alla fine l’azienda sta avendo successo e di occhi puntati ne ho abbastanza (ride, ndr). Mi piace la sfida ma voglio mantenere un profilo corretto.
Cominciare a trattare secondo i principi della biodinamica non è da tutti. Volevo allargare le mie competenze professionali, puntavo alla produzione di vini originali e il risultato è stato appagante
Qualche volta si è sentito avvantaggiato da produttore in quanto enologo? Non mi sono mai considerato privilegiato. Il vino si paga e deve piacere. Il mercato è cresciuto e sono stati più i clienti che sono arrivati dopo aver letto dei vini, anziché dopo averli assaggiati… Dopo tanti anni di professione nel mondo del vino ho avuto sicuramente il vantaggio di destare curiosità. E’ stata dura insomma? Questo è il mio lavoro e mi dà più soddisfazione del reddito. Altrimenti un’azienda come Duemani non avrebbe avuto senso di esistere. E’ stata un’avventura, dura, perché non avevo fondi di famiglia o altro. Lo scopo era fare vini buoni ma anche molto originali. Ora sono oltre dieci anni dall’inizio della vigna e la biodinamica mi ha permesso di creare vini sorprendenti. La mentalità generale ancora non mi dà molta ragione. Solo in minima parte qualcuno si è accorto che la biodinamica può servire, soprattutto per migliorare i vini e a renderli meno anonimi. Ci sono caratteristiche imprescindibili per un buon produttore? Fuori dal pallottoliere una: mai scendere a compromessi. Cos’è cambiato in vent’anni? E l’offerta turistica come sta? La qualità dei vini è aumentata. Dal punto di vista turistico il territorio è decrepito. Le amministrazioni ci mettono un pò d’impegno ma gli imprenditori di zona sono persone anche poco corrette, spennano, gli interessa solo un turismo mordi e fuggi… E la crisi peggiora questa situazione. I ristoranti dove si mangia bene sono spesso pieni, gli altri raccattano… I ristoranti “stellati” sarebbero una buona attrattiva per la zona: ci sono ristoranti in cui si può mangiare anche molto bene, ma dove il servizio spesso è di basso profilo. Gli alberghi? Ne esistono molti e di poco pregio. La colazione la mattina è meglio in autogrill,( la gestione intelligente non esiste). Probabilmente non c’è nemmeno ambizione, altrimenti la situazione sarebbe migliorata. La soddisfazione più grande… Non c’è mai stato un momento in cui sono stato più soddisfatto di altri. Nei momenti di “magra” pensavo “arriveranno momenti migliori”… Qualche volta ho pure pensato di fare un altro lavoro (ride, ndr)… apino, gelati e vai…perché sono ghiotto ed è difficile trovarlo buono! I gelati sono o troppo dolci, o con le polveri, è raro trovare un gelato naturale, con ingredienti primari… Che augurio si fa per il futuro… Sono contento ma non mi accontento…Tra dieci anni mi auguro di essere ricco …. ma di tempo libero!!